I Savorgnan nel Medio Friuli pubblicazione progetto integrato cultura

I Savorgnan nel Medio Friuli pubblicazione progetto integrato cultura.

Questa antichissima famiglia friulana è stata oggetto di innumerevoli studi, specialmente a partire  dal Seicento. Le sue origini rimangono tuttavia oscure. Riassumendo in una incerta sintesi lo sviluppo dei primordi di questa famiglia, v’è da dire che alcuni alberi genealogici la fanno risalire ad un tale Pietro, che nel 921 ottenne dal patriarca Berengario l’autorizzazione a costruire un castello a Savorgnano. Una insicura linea discendente arriva poi a Corrado, al figlio Rodolfo nel 1219 ed ai figli di quest’ultimo Corrado e l’omonimo Rodolfo nel 1257. È proprio su questo periodo che i pareri discordano e più precisamente sull’origine di Federico di Colmalisio, che per alcuni era figlio di tale Odorico, per altri di Corrado e quindi fratello di Rodolfo, per altri ancora di Rodolfo e quindi fratello di Rodolfo.  Flambro Savorgnan

Fu proprio questo Federico che nel 1238 iniziò una serie di operazioni a carattere fondiario, che nell’arco di due decenni dovevano portarlo all’acquisizione di numerosi beni in Friulioltre che, ciò che più importa, nella stessa Udine. Le cronache cinquecentesche fanno poi risalire proprio a quel periodo l’ascrizione della famiglia alla nobiltà udinese, il suo ingresso nel parlamento della Patria e l’acquisizione in feudo del castello di Savorgnano. Di certo, i primi ad essere definitivamente chiamati “di Savorgnan” furono i nipoti di Federico, verso la fine del XIII secolo, mentre altri discendenti si chiamarono “di Udine” e persero rapidamente importanza.

Flambro e i Savorgnan

La formazione della contea di Belgrado iniziò, con la costruzione del castello omonimo, forse verso il IX o X secolo: lo troviamo nel 1001 fra i beni donati dall’imperatore Ottone III al patriarca Giovanni IV, donazione confermata nel 1028 dall’imperatore Corrado. Nel 1184 è fra i possessi del vescovo di Concordia, mentre nel 1254 è feudo di una dinastia locale che tramite Diomunda, figlia di Azzo di Belgrado, concessa in moglie al conte Alberto II di Gorizia, si imparenta con questa importante famiglia. Il feudo entrò così a far parte di quelli dipendenti dai conti di Gorizia. Flambro Savorgnan

Nel frattempo i Savorgnan avevano già espanso la loro influenza in questa zona: avevano infatti ottenuto in feudo il castello di Flambro inferiore (Castellutto) ed anzi il 5 luglio 1258 i fratelli Corrado e Rodolfo Savorgnan restituirono il castello stesso al patriarca Gregorio di Montelongo, verso il pagamento di duecento marche. Nello stesso periodo la villa di Flambro (superiore) fu concessa in feudo d’abitanza a Rapotisso di Pocenia e Marquarduzio di Ragogna: correva l’anno 1263.
Agli inizi del secolo successivo il castello di Flambro inferiore era già pervenuto ai conti di Gorizia, che infatti l’ 11 marzo 1313 lo concessero in feudo a Febo e Raimondo della Torre, obbligando loro ed i loro posteri a servire il loro principe, in caso di guerra, garantendo la difesa del territorio posto fra il Tagliamento e l’Isonzo.

Non si trattava evidentemente solo del castello ma di una giurisdizione che comprendeva alcune ville come Rivarotta, Talmassons e Nespoledo. Nel 1346 (o forse nel 1348), a causa di discordie intercorse fra i Del Torre ed i Savorgnan, lo stesso castello fu spianato e due anni dopo (25 gennaio 1348) uno spaventoso terremoto ne terminò la distruzione: questi furono probabilmente i motivi per cui quel paese perse d’importanza a favore di Flambro, che già era sede della rinomata pieve. Nella prosecuzione delle discordie dianzi accennate i Savorgnan fecero atterrare anche la cortina di Flambro: ciò avvenne il 27 maggio 1350, pochi giorni dopo che le truppe udinesi avevano tolto di mano il paese ai goriziani.

Nel frattempo si venivano maturando le condizioni per la costituzione di una gastaldia in Flambro superiore. La prima notizia è del 21 marzo 1299, quando sappiamo che tale Folcherio di Walsperch e tale Pacio di Flambro erano gastaldi per conto di Enrico di Gorizia. Una simile notizia si ripete sei anni dopo: il 19 aprile 1305 era gastaldo Carsimano di Gorizia. Certo è che a metà del secolo XIV la gastaldia di Flambro era già stata stabilmente costituita; questa infatti, assieme al castello di Belgrado, era stata nel 1344 ceduta in ipoteca da Mainardo di Gorizia a Castrone de’ Bardis, banchiere fiorentino. Pochi anni dopo, nel 1354, Castellutto era sicuramente nelle mani dei conti di Gorizia, come risulta da un atto, datato 7 marzo, in cui gli abitanti giurarono fedeltà al conte Mainardo VII. Ma i due territori, seppur contigui, rimasero sempre amministrativamente divisi, come appare nel 1363, quando Mainardo confermò la signoria di Castellutto a Febo della Torre e ne ebbe da Enrico (sempre di Gorizia) quella di Flambro.

La gastaldia di Flambro non comprendeva il paese di San Vidotto. Ciò è palese poiché nel 1320 Enrico di Gorizia investì Enrico di Prampero dell’avvocazia di Lestizza e San Vidotto. Questo paese entrò sotto la diretta influenza di Flambro solo dopo le incursioni turche della seconda metà del XV secolo e l’avvocazia sopracitata spiega perché il paese, come altrove appare in questo testo, rimase parimenti legato a Lestizza.
Per almeno un secolo il castello di Belgrado e la gastaldia di Flambro rimasero nelle mani dei conti di Gorizia. La caduta dello stato patriarchino non modificò tale situazione, ché la Serenissima confermò tali possedimenti ai conti di Gorizia. Anzi è da ritenere che proprio questa particolarità (i possedimenti goriziani in terra veneta) determinasse lentamente due eventi fondamentali per questi territori: da una parte la compenetrazione della gastaldia di Flambro nella contea di Belgrado, dall’altra l’acquisizione di quei privilegi che successivamente ne determinarono la separazione di fatto dalla Patria del Friuli. Al dissolversi dello stato friulano, nel 1420, la contea di Belgrado era però sostanzialmente formata, così come poi passò ai Savorgnan.

Quanto alle caratteristiche privilegiate della contea di Belgrado, esse furono determinate in una convenzione datata 11 aprile 1434, stipulata tra lo stato veneto ed i conti di Gorizia e confermata in atti del 1435, 1439 e 1468. La definizione della formazione della contea e delle sue caratteristiche ci permettono ora di sorvolare sulle vicende della seconda metà del secolo XV, che videro il feudo passare fra le mani della contessa di Cillj, di Massimiliano I d’Asburgo e di Federico di Sassonia.
Le vicende della guerra combattuta fra veneziani ed austriaci agli inizi del secolo successivo portarono la popolazione del luogo a giurare fedeltà alla Serenissima il giorno 11 aprile 1508. Da quel momento e per tre secoli il feudo rimase nelle salde mani della Serenissima Repubblica di Venezia.

** Per un approfondimento sui rami della famiglia Savorgnan, vedi l’opera citata.

La Contea di Belgrado e la sua influenza su Flambro.

Da “Flambri” – E.Dentesano e M.Salvalaggio

La cancelleria dei Savorgnan a Flambro

Nel 1596 il Tagliamento, che scorreva a poca distanza dall’abitato di Belgrado, uscì dal suo letto e distrusse i castelli di Varmo di Sotto e di Sopra e quello di Madrisio. Anche la villa di Belgrado subì orrende devastazioni. Nel secolo successivo le esondazioni del fiume si ripeterono frequentemente e ciò costrinse i Savorgnan ad abbandonare definitivamente il castello di Belgrado nel 1692. Una di queste esondazioni colpì particolarmente il patrimonio archivistico della cancelleria di Belgrado nel 1683, disperdendolo o comunque danneggiandolo gravemente.

Fu deciso così di trasferire la sede della cancelleria a Bertiolo. Lì confluirono tutti i documenti prodotti nella cancelleria della contea di Belgrado e salvati dalla distruzione: si trattava di 250 filze.
Successivamente, fra il 1754 ed il 1757, la cancelleria fu trasferita a Flambro, nella villa della famiglia e da quel momento la sede rimase nella nostra villa fino a quando i beni passarono ai Moro, quindi almeno fino al 1809.
Alla fine del settecento a Flambro risiedeva in permanenza un agente, che era il più importante non solo della contea di Belgrado, ma di tutte le giurisdizioni dei Savorgnan in Friuli; a lui facevano infatti riferimento gli agenti minori della contea di Belgrado e tutti gli altri, da Osoppo ai Forni Savorgnani, da Chiavris a Cussignacco, da Martignacco a Lestans. Questo agente era in corrispondenza quotidiana con il conte Mario, che stava a Venezia per riferirgli dell’andamento dell’amministrazione dei suoi beni del Friuli. Riforniva inoltre la residenza veneta di vettovaglie e inviava documenti amministrativi, libri ed ogni altra cosa che potesse servire.

L’agente di Flambro era il più anziano e, come dicevamo, coordinava l’attività degli altri agenti, sparsi in tutto il Friuli. Faceva da tramite tra loro ed il conte che stava a Venezia. Le spedizioni di vettovaglie, documenti o altro materiale era quasi quotidiana: la villa di Flambro fungeva da centro di raccolta per tutte le giurisdizioni friulane e da qui i trasporti si effettuavano, tramite carradori locali, fino ai porti di Latisana o Portogruaro, da dove poi, per via acquatica proseguivano fino a Venezia. Alla fine del settecento, perlomeno dal 1778 al 1798, troviamo investito di questa carica tale Biasioni, che ci ha lasciato numerosi resoconti della sua attività e della vita di allora, compresa una sommaria descrizione dei fatti accaduti durante l’invasione napoleonica.

** Per un approfondimento sui rami della famiglia Savorgnan, vedi l’opera citata.

I Personaggi della famiglia dei Savorgnan

1. Girolamo Savorgnan, pievano.
Girolamo nacque il 2 settembre 1523 e fu il diciannovesimo figlio dell’omonimo Savorgnan, che  aveva avuto il titolo di Conte di Belgrado; era anche l’ottavo figlio avuto dalla quarta moglie di questi, Orsina Canal, nobildonna veneta ed il secondo con identico nome. Il 14 agosto 1536, appena tredicenne, venne investito del pievanato di Flambro e, nonostante le contestazioni del patriarca di Aquileia riuscì, ad entrare in possesso del beneficio e ad usufruirne fino alla morte. In giovane età fu avviato alla carriera ecclesiastica. Lo ritroviamo così chierico in Friuli e quindi studente a Padova, dove in quell’università si laureò. Tornato in Friuli fu nominato Canonico della chiesa metropolitana di Udine. Quindi si recò a Roma, chiamato dal cardinale Gian Francesco Comendone, suo ex compagno di studi, dove conobbe i papi Paolo III, Giulio III e Paolo IV. Flambro Savorgnan

Nel 1555, saputo della morte del fratello Germanico, tornò in Friuli, nel castello di Belgrado e vi rimase fino all’anno seguente. Qui, forse meditando sulla morte del fratello, decise di redigere il testamento: era il 4 settembre 1555. Tornò quindi a Roma e nel 1557 fu, da papa Paolo IV, nominato vescovo di Sebenico. Prima di recarsi in quella città a prendere possesso della diocesi, passò nuovamente in Friuli, dove stese le procure ai fratelli per l’amministrazione dei suoi beni. Dal 1561 al 1564 fu sicuramente a Trento, partecipe attivo al famoso concilio, dopo la riconvocazione di quest’ultimo, avvenuta nel 1560. Determinato ad apportare alla sua diocesi le riforme raccomandate dal concilio di Trento, incontrò tosto delle difficoltà quasi insormontabili, con le quali convisse fino al 1573.

In quell’anno infatti, stanco della situazione venutasi a creare, rinunciò al vescovado e si ritirò in Friuli, dove rimase qualche anno, dimorando in vari luoghi, come si può rilevare dalle lettere da lui scritte al nipote Giulio fra il 1576 ed il 1581.
In quell’anno fu colpito da un secondo triste evento: il fratello più giovane, Ascanio, fu ucciso dal nipote Germanico, figlio di Marc’Antonio, per questioni ereditarie. Per questo fatto Germanico fu bandito dalla Repubblica, mentre Ascanio lasciò il figlioletto Girolamo in tenera età. Il nostro si occupò della divisione ereditaria, che alcune discordie protrassero per oltre due anni. Nel frattempo il nipote Giulio venne a morte in Roma; questi era cameriere secreto al soglio pontificio e seguiva gli affari dello zio in quella città. Il triste evento costrinse Girolamo a recarsi a Roma e là infatti lo troviamo nel 1584. L’anno seguente era nuovamente in Friuli, dove si occupò dei suoi beni in Carnia. Tornato a Roma nel 1586 vi rimase, sempre più malato, fino alla morte, che sopravvenne l’8 maggio 1591. Il 7 marzo dell’anno precedente, sentendosi vicino alla morte, aveva redatto le sue ultime volontà, annullando il testamento del 1555. Il suo corpo fu sepolto nell’ospedale di San Giacomo degli incurabili.

2. Francesco Girelli-Savorgnan, pievano.
Alla fine del XVIII secolo erano in vita quattro fratelli della linea del Torre. Due di essi, Antonio e Girolamo, avevano ottenuto dalla Serenissima l’investitura che prima fu dei del Monte. La linea di Giacomo si estinse perché egli ebbe in prole quattro figlie. Un quarto fratello, Francesco, in procinto di sposare una sorella della moglie di Giacomo, ebbe da lei un figlio, ma morì prima della sua nascita, nell’ottobre del 1788, in Bibano. Al bambino fu imposto il nome di Francesco; il cognome, Girelli, lo prese dalla madre Elena ed ambedue furono presi in cura da Girolamo prima ed Antonio, poi, dopo che nel 1790 circa venne a morte Giacomo. Nel frattempo i due citati fratelli riconobbero Francesco come figlio naturale del defunto omonimo e così si spiega il doppio cognome.

Le ultime vicende dei Savorgnan legati a Flambro

Dopo la morte di Girolamo tutto il patrimonio, libero ancorché feudale, passò nelle mani del solo Antonio. V’è da dire, a maggior chiarimento, che la cura, che Antonio si prese del nipote Francesco, fu determinata anche dal fatto che le leggi venete prevedevano che il figlio naturale ereditasse la dodicesima parte della facoltà libera paterna. Nel 1799, morto il pievano di Flambro Giacomo Savorgnan, il conte Antonio propose alla curia la nomina dell’ancor fanciullo Francesco, al quale per l’occasione erano stati conferiti gli ordini minori. Così facendo, detto Antonio poté, tramite l’affittuario don Stella, percepire, in nome di Francesco, i quartesi di tutta la pieve di Flambro e, per contro, continuò a versare mensilmente 132 lire italiane ad Elena Girelli per il mantenimento suo e del figlio. Tale situazione si mantenne fino a tutto il 1806. L’anno seguente il Girelli, compiuti i diciotto anni, divenne maggiorenne a norma delle leggi venete che ancora erano in vigore e pertanto il conte Antonio abbandonò la tutela del nipote, lasciandogli solo le rendite abbaziali. Flambro Savorgnan

Contro questa decisione il Girelli ricorse per vie legali, chiedendo la restituzione da parte dello zio della dodicesima parte dei beni liberi del padre e la corresponsione dell’assegno alla madre fino al momento di detta restituzione; chiese inoltre la restituzione delle rendite abbaziali, percepite dal suddetto negli anni intercorsi fra il 1799 ed il 1806.
La lite non era ancora stata composta, allorché nel 1809 il conte Antonio cedette tutti i suoi possedimenti, liberi e feudali, ad Antonio Moro e nell’anno successivo morì senza filiazione. Fu così che le pendenti cause si trasferirono al Moro. Seguirono alcune sentenze nel 1813 ed il 7 giugno 1815; quindi una transazione fra le parti, con la quale il Moro si impegnava a pagare al Girelli 26.000 lire italiane a titolo di liquidazione della su accennata pensione alimentare e delle rendite abbaziali non percepite dal 1799 al 1806, parve mettere fine alle discordie. Rimaneva infatti ancora pendente solo la questione della determinazione del valore delle sostanze libere del “fu” marchese Francesco Savorgnan, indispensabile per quantificare la dodicesima parte spettante al Girelli.

Poiché il Moro non rispettò i patti del 1815, il Girelli si vide costretto ad intraprendere nuovamente le vie giudiziarie per vedersi soddisfatto. Si giunse comunque ad un nuovo accordo che fu stipulato il 30 settembre 1820 e ad uno ulteriore, datato 21 novembre 1820; accordi che il Moro, come il precedente, non onorò. Al Moro fu più volte intimato da vari tribunali di corrispondere al Girelli quanto dovuto ma egli si seppe disfare della proprietà mediante volture di comodo, cosicché il Girelli, nonostante avesse dalla sua parte numerose sentenze, rimase sempre insoddisfatto e morì nel 1834 senza rientrare in possesso dei suoi averi. Fu seppellito nel cimitero di Zugliano il giorno 15 marzo, due giorni dopo la morte, avvenuta in casa Moro, come leggiamo nel Catapano, il giorno 13 marzo.

Pagina aggiornata il 29/08/2023

Quanto sono chiare le informazioni su questa pagina?

Grazie, il tuo parere ci aiuterà a migliorare il servizio!

Quali sono stati gli aspetti che hai preferito? 1/2
Dove hai incontrato le maggiori difficoltà?1/2
Vuoi aggiungere altri dettagli? 2/2
Inserire massimo 200 caratteri